lunedì 19 ottobre 2009

Commissione d'inchiesta per le violenze in Guinea


Il Segretario generale dell´ONU, Ban Ki-moon, ha annunciato che istituirà una commissione d'inchiesta internazionale per verificare la violenta repressione del mese scorso in Guinea su migliaia di manifestanti disarmati. Questi ultimi subirono violenze da parte delle forze dell'ordine, 150 persone morirono e molte altre furono stuprate.
La Commissione esaminerà gli attacchi repressivi praticati dalle forze di sicurezza "al fine di determinare la responsabilità delle persone coinvolte", dichiara un portavoce dell´ONU.
Haile Menkerios, assistente segretario generale per gli affari politici, è a capo di una missione in Guinea per studiare le modalità dell´istituzione della commissione di inchiesta.
L'annuncio dell´indagine arriva il giorno dopo che l'ufficio del pubblico ministero presso la Corte penale internazionale (TPI) dell'Aia ha avviato un esame preliminare sugli eventi del 28 settembre. Rientrano sotto la giurisdizione del giudice che vuole approfondire e trovare le persone accusate di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra.
Il vice procuratore, Fatou Bensouda, ha dichiarato che "le donne hanno subito abusi e atti brutali all'interno dello stadio di Conakry, apparentemente da uomini in uniforme.
Questo è terribile, inaccettabile."

venerdì 16 ottobre 2009

IL LATO OSCURO DELLA TURCHIA

Ankara apre i diritti politici per i curdi, ma quello dei diritti umani resta un problema da risolvere.

Tre casi fanno riflettere sull'effettivo progresso della Turchia nel campo dei diritti umani.
Alla vigilia della proposta del governo di realizzare un'apertura democratica verso la minoranza curda, quello dei diritti umani rimane ancora uno dei temi da affrontare con urgenza per una Turchia che vuole entrare nel club europeo.Abbiamo conosciuto quale risonanza abbia avuto nel paese "l'Open Democracy" promossa dal governo Erdogan, che si propone di conferire più riconoscimenti amministrativi e politici alle regioni curde del sud-est. Ma esiste anche una frangia della società turca caratterizzata da un forte nazionalismo sulla scia di Kemal Ataturk (il fondatore della Turchia moderna) che non condivide questo tipo di riforme civili e giudiziarie, una parte della realtà turca da non sottovalutare e che è ben rappresentata nel tessuto politico e sociale del paese. Uno dei principali oppositori alla cosiddetta apertura democratica, sostenuta dall'AKP, è lo stesso esercito che ha da perdere, e molto, da un riconoscimento dei diritti civili della minoranza curda in Turchia, che conta circa 15 milioni di persone, concentrate prevalentemente nel profondo est turco.

Violazioni, piccole ma continue. Da molto tempo le Ong che lavorano nel campo dei diritti umani e civili in Turchia denunciano le sistematiche operazioni dell'esercito e di alcuni gruppi organizzati che vanno a colpire piccoli obiettivi, tali da non suscitare scalpore tra i media ma in maniera continua in modo da mantenere un clima di tensione sulla popolazione lì residente. Il 12 settembre Aldo Canestrari (nella foto), attivista che da anni si batte per un riconoscimento dei diritti umani per i curdi in Turchia, è stato malmenato vicino Diyarbakir da un gruppo di uomini che lo ha prelevato dalla macchina in cui viaggiava. L'episodio forse non è ricollegabile ad un altro caso che vede coinvolta una bambina curda, ma è accaduto sempre nei pressi di Diyarbakir, considerata capitale della regione curda in Turchia.

Ceylan Onkol era una bambina di 14 anni che il 28 settembre è rimasta uccisa mentre portava al pascolo i suoi animali. La ragione? Nessuna. Il colpo di mortaio che l'ha centrata si crede sia stato sparato da militari turchi e sulla vicenda è stata aperta un inchiesta. A testimoniare l'accaduto c'è un video amatoriale girato da un imam della zona (ripreso da Roj Tv, l'emittente satellitare curda) che mostra il corpo martoriato della piccola. La notizia non è stata riportata immediatamente, ma sono passati diversi giorni prima che alcuni quotidiani, come il Taraf, denunciassero questo ennesimo abuso dell'esercito turco che tuttora mantiene il silenzio.

Il caso Guler Zere. Un altro caso che denota le violazioni compiute dalle forze di sicurezza turche è relativo alla detenzione di Guler Zere, attivista di sinistra e membro di un'associazione ritenuta illegale dal governo turco, che ha già trascorso 14 anni di prigionia ed ora si trova in gravi condizioni di salute per via di un cancro alla gola non curato in tempo. La sua detenzione fa discutere per le modalità con cui viene applicata: è rinchiuso infatti in una delle famigerate celle modello-F, celle di isolamento nelle quali a volte, come in questo caso, non vengono effettuate le cure mediche essenziali per i detenuti. Nel recente incontro di Bruxelles il ministro degli esteri Davutoğlu è stato raggiunto da alcuni manifestanti che hanno rinnovato la protesta nei confronti del governo inneggiando slogan per la liberazione della Zere.

La storia dei curdi in Turchia è stata spesso oggetto di strumentalizzazioni tese a creare un clima di terrore, ma anche usata affermarne l'identità, a scapito delle minoranze. Recentemente la questione è nuovamente al centro dell'attenzione dei media ma questa volta nulla ha a che fare con la formazione armata del Pkk, bensì con la proposta del governo di aprire una via al dialogo con la rappresentanza politica curda, quindi con il Dtp, per riuscire a rilanciare una nuova intesa con la minoranza, da molti anni tenuta in attesa a causa degli scarsi, o del tutto inutili, tentativi di integrazione nella società. Ma nel campo dei diritti umani ci sono ancora delle ombre che oscurano i progressi fatti sin qui per arrivare agli "standard europei" e pongono seri interrogativi sull'effettiva volontà-capacità del governo di realizzare un'efficace riforma in tal senso, dovendo sostenere un peso ingombrante come quello dell'esercito.

Fonte: Peace Reporter, Luca Bellusci.

venerdì 9 ottobre 2009

Sette giorni a impatto zero e l'esperienza finisce sul web

L'iniziativa lanciata da una famiglia newyorkese. Che ne ha fatto un sito, un libro e un documentario. Vivere per una settimana limitando gli sprechi di ogni genere. E raccontarlo sui social network.




COLIN Beavan l'ha fatto per un anno intero e da allora è diventato a tutti gli effetti No impact man, ovvero l'uomo capace di vivere per 365 giorni, insieme alla sua famiglia, annullando l'impatto ambientale. Niente automobile, energia ridotta, uso limitato di carta e plastica, cibi locali e non inscatolati. Ora lancia una sfida: provate anche a voi a vivere una settimana, da domenica a domenica, a impatto zero. E raccontatelo. Come? Con il suo prezioso decalogo e la possibilità di condividere online la propria esperienza con video, post e commenti su Facebook.
Si tratta di un esperimento globale che convoca coloro che hanno a cuore il pianeta e vogliono provare sette giorni di vita pulita, che non fa male all'ambiente e che, promette Colin, è anche molto divertente. Per mettersi alla prova basta iscriversi al sito No Impact Project: qui è possibile scaricare la guida suddivisa per giorni e apprendere i segreti del vivere risparmiando. Energia, emissioni nocive e - perché no - anche denaro. L'inizio è per il 18 ottobre (intanto ci si può iscrivere alla newsletter), ancora qualche giorno per permettere agli utenti di capire lo spirito dell'iniziativa e decidere se si è pronti a dire no. All'automobile, all'elettricità, alla carta, ai cibi confezionati, ai tanti piccoli lussi del vivere contemporaneo che danneggiano la natura.
Da fare in gruppo, da soli o con la propria famiglia, il progetto cercherà di cambiare le abitudini più comuni. Domenica si elimina l'immondizia preferendo per esempio ai tovaglioli di carta quelli di stoffa; lunedì si elimina l'immondizia e ci si muove con trasporti a basso impatto, come la bicicletta; martedì oltre a eliminare immondizia e mezzi di trasporto ad alto consumo, si mangeranno solo cibi stagionali e locali. E avanti così, fino alla fine della settimana di prova, quando radersi a mano invece che con il rasoio elettrico, preferire le scale all'ascensore, il lavaggio a mano alla lavatrice, le candele alla luce elettrica sembreranno attività così normali che sarà difficile tornare indietro. Subito dopo la registrazione sul sito e lo studio della guida, ogni utente dovrà sottoporsi a un sondaggio sul proprio stile di vita e scegliere quindi un giorno, tra quelli indicati, per dare inizio al progetto. Per chi crede nell'unione che fa la forza c'è la possibilità di aggregarsi ad altri gruppi, scelti in base alla prossimità geografica, e dare inizio al progetto.
Ai partecipanti viene chiesto di condividere la propria settimana inviando video e foto, coinvolgendo amici, iscrivendosi a Twitter e Facebook per ricevere supporto morale.
Basterà leggere la guida la sera prima, e informarsi sull'obiettivo della giornata seguente: cinque passi giornalieri, consigli e idee. A fine serata, per chi lo vorrà, sarà possibile partecipare ad un live webcast con esperti del settore. L'esperienza si conclude con un sondaggio, la possibilità di diventare un "ambasciatore no impact" e, sei mesi dopo, raccontare gli effetti a lungo termine dell'esperienza. Tutto nel tentativo di evangelizzare uno stile di vita a impatto zero. Proprio come quello che ha scelto Colin, ma con ampio spazio all'iniziativa personale: ognuno dovrà adattare i consigli al proprio stile di vita. Lo sanno bene i tanti utenti che raccontano nella sezione Change Yourself i loro segreti per cambiare il mondo. C'è Tabhata che ha sostituito lo shampo con il sapone alla glicerina, Mabel che ha imparato a cucire i propri abiti da sola, Charlotte che ha ridotto l'uso di telefono cellulare e computer allo stretto necessario e Clayton che trascorre le serate in famiglia raccontando storie e facendo delle sedute di lettura collettiva. Ma se, pur volendo intraprendere il progetto, non siete sicuri di poter contare sull'appoggio di familiari o partner, non vi preoccupate. No Impact Man ha pensato anche a questo. Preparate al vostro compagno una deliziosa cena a lume di candela utilizzando solo prodotti locali, o coinvolgete mamma e papà in una serata tv-free durante la quale, al posto del video, saranno organizzati tornei di carte o giochi in scatola. La chiamata riguarda proprio tutti, anche chi non ha a disposizione mezzi pubblici e raccolte differenziate: Colin ha messo a punto soluzioni alternative quasi per ogni ostacolo. No Impact Project è un'iniziativa no-profit che parte da New York, precisamente dalla famiglia Beavan. Di loro hanno parlato i media di tutto il mondo - il primo fu il New York Times che titolò l'articolo "Un anno senza carta igienica" - e la loro esperienza è diventata prima un libro e ora anche un documentario. Da qui si apprende che Michelle, la moglie di Colin, ha imparato in un anno a rinunciare a una delle sue passioni alimentari, il caffè di Starbucks, e a uno dei suoi lussi preferiti, la moda di Prada. Perché - come ricorda Colin - il mondo si può salvare. Famiglia dopo famiglia.

Fonte: 9 ottobre 2009 - Benedetta Perilli, Peacelink.it

giovedì 8 ottobre 2009

Consulta, lodo Alfano incostituzionale. Si riaprono i processi a carico del premier

I giudici della Corte Costituzionale sono tornati a riunirsi il 7 ottobre 2009 per decidere della costituzionalità del Lodo Alfano, la legge che sospende i processi nei confronti delle 4 più alte cariche dello Stato.
Nulla di fatto nella seduta mattutina, la Corte si è aggiornata nel pomeriggio. La seduta è ripresa alle 16. Poi la decisione. Protagonista della seduta di ieri la singolare difesa dei legali del premier. "La legge è uguale per tutti, ma non la sua applicazione" aveva dichiarato l'avvocato e parlamentare del Pdl Niccolò Ghedini.
L'effetto della decisione della Consulta sarà la riapertura di due processi a carico del premier Berlusconi: per corruzione in atti giudiziari dell'avvocato David Mills e per reati societari nella compravendita di diritti tv Mediaset.


martedì 6 ottobre 2009

Lodo Alfano, nessun verdetto. Consulta si aggiorna a domani


Slitta almeno a domani il verdetto della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano. Dopo due ore di riunione, i 15 alti magistrati chiamati a decidere sulla legittimità della legge che sospende i processi penali per le prime 4 cariche dello Stato hanno infatti aggiornato la camera di consiglio a domani matttina alle 9.30. Intanto la difesa di Berlusconi si è detta fiduciosa sulla pronucnia della Corte, l'avvocato Pecorella ha sottolineato che "la nuova legge elettorale fa del presidente del Consiglio un soggetto con un ruolo del tutto particolare e ciò giustifica una legge applicabile al presidente del Consiglio.

Incalzato da una sentenza che lo indica come corresponsabile di corruzione, Silvio Berlusconi ha avvertito tutti gli oppositori che il governo andrà avanti cinque anni e che nulla potrà tradire il mandato che gli italiani gli hanno conferito. La sentenza del lodo Mondadori è per il premier "un'enormità giuridica". Le accuse che arrivano da Milano hanno messo in agitazione la maggioranza, che parla esplicitamente di un "disegno eversivo per sovvertire la volontà democratica". Da Gianfranco Fini parole che sembrano un avvertimento: "L'unica maggioranza legittimata è quella decisa dal voto popolare", mentre sulla possibilità d'un ritorno alle urne resta scettico Umberto Bossi, il quale, in ogni caso, ha detto che "noi siamo pronti a vincerle ancora". Cauta sull'ipotesi elezioni anche l'opposizione, che non rinuncia a puntare il dito contro una maggioranza che considera il premier al di sopra delle leggi. Chi invoca le urne è, invece, Antonio Di Pietro: "Ancora di più ora che la sentenza del lodo Mondadori prova che Berlusconi è un criminale".

Nei dettagli:

Silvio Berlusconi è "corresponsabile della vicenda corruttiva" alla base della sentenza con cui la Mondadori fu assegnata a Fininvest. Lo scrive il giudice Raimondo Mesiano nelle 140 pagine di motivazioni con cui condanna la holding della famiglia Berlusconi al pagamento di 750 milioni di euro a favore della Cir di Carlo De Benedetti.
E' il 25 gennaio del 1990 quando la famiglia Formenton, erede di Arnoldo Mondadori, cede il controllo della casa editrice a Silvio Berlusconi. Carlo De Benedetti impugna l'accordo, sostenendo che i Formenton si erano impegnati a cedere l'azienda a lui. Il 20 giugno dello stesso anno un collegio arbitrale dà ragione a De Benedetti e gli assegna il controllo della Mondadori. Sei mesi più tardi la corte d'appello di Roma annulla il lodo emesso dal collegio arbitrale e la casa editrice di Segrate torna in possesso di Berlusconi. Un accordo successivo tra di due contendenti assegna il settore libri e periodici a Berlusconi e il quotidiano La Repubblica insieme al settimanale L'Espresso a De Benedetti. Il 12 marzo 1996 però un fatto scompiglia le carte: il giudice romano Renato Squillante viene arrestato per aver distribuito tangenti per conto della Fininvest. Tra le sentenze comprate, secondo l'accusa, quella sul lodo Mondadori. Al termine di un lungo e complesso percorso giudiziario, nel 2007 la Corte di Cassazione condanna definitivamente Cesare Previti, avvocato di Berlusconi, per aver corrotto con soldi della Fininvest la corte d'appello di Roma che tolse la Mondadori a De Benedetti. Da qui nasce il maxi risarcimento che ora un giudica milanese ha fissato in 750milioni di euro.

Fonte: Skytg24

lunedì 5 ottobre 2009

Kenya, sfratti nella foresta



Peter Ole Nkolia mostra lo scheletro a terra di una delle sue mucche. Fino a poco tempo fa ne possedeva una cinquantina. Ora gliene sono rimaste solo quattro.

Il Kenya sta affrontando una delle siccità peggiori degli ultimi anni, ma a differenza di quanto successo nel passato, questa volta sono stati trovati dei "colpevoli: " Spero solo che i coloni della foresta Mau vengano sfrattati - dice Nkolia - Se prosegue la distruzione della foresta, moltissime persone finiranno per soffrire e presto non si vedranno in giro solo gli scheletri degli animali, ma che anche quelli degli uomini"
La foresta Mau è considerata, insieme con il ghiacciaio del Kilimangiaro e i laghi della Rift Valley, una delle riserve d'acqua più importanti del Paese, il cui ecosistema è stato però messo gravemente in crisi dal disboscamento prodotto dagli insediamenti agricoli, dal commercio di legname e dalla produzione di carbone. Tutte attività per la maggior parte illegali, che negli ultimi dieci anni hanno distrutto più di un quarto della foresta.

Le colline Mau, una volta fitte di vegetazione lussureggiante, ora appaiono spoglie e divise in possedimenti. Enormi distese nere mostrano i fuochi dove la legna viene bruciata per produrre carbone. Il disboscamento di queste colline ha alimentato, per 24 anni, il potere dell'ex presidente Daniel arap Moi, che ha dato in concessione le terre in cambio di voti. La corruzione di alcuni funzionari statali ha fatto il resto, con il risultato che ora più di ventimila famiglie cercano di sopravvivere su quei campi. Ventimila famiglie che il governo ha deciso di sfrattare, che abbiano i titoli legali per possedere quella terra o meno. "Siamo spaventati - dice Kipkorir Ngeno, un insegnate che si è trasferito su queste colline nel 2001 e che qui ha avuto sei figli - Ci chiamano "abusivi" ... ma questa è la mia terra e non è illegale". Ha ragione Ngeno ad essere spaventato perché solo coloro che potranno mostrare dei documenti validi, e non falsificati, avranno diritto ad essere trasferiti da qualche altra parte nel Paese: sostanzialmente, secondo i primi calcoli, solo il 10 percento.

Il Fiume Njoro, che nasce nella foresta Mau e scorre giù per le colline, è completamente secco. Il problema è grave perché l'acqua che si forma nella foresta alimenta diversi fiumi usati per produrre energia idroelettrica, e numerosi laghi, fra i quali il lago Vittoria, oltre che le riserve naturali di Serengeti, Masai Mara e Nakuru. La siccità rischia di colpire milioni di persone, ben al di là dei confini kenioti, e il danno economico viene stimato in 300 milioni di euro. Ma questo potrebbe non essere il problema peggiore, in un Paese in cui ogni tensione viene acuita dalle differenze etniche. Gli agricoltori Masai come Nkolia sono esasperati e le milizie Masai sono già pronte a colpire i coloni della foresta, per la maggior parte di etnia Kalenjin. Il rischio di un conflitto interno è alto. "Non posso starmene qui a soffrire mentre loro stanno bene - conclude Nkolia - Quando il mio campo sarà completamente secco andrò da loro e il risultato sarà un conflitto. Così come stanno andando le cose non va affatto bene".

Fonte: Peacereporter


giovedì 1 ottobre 2009

IL MASSACRO SILENZIOSO

Capitano Muassa Dadis Camarà

Guinea, la comunità internazionale resta immobile di fronte ai 157 morti nel piccolo stato dell'Africa occidentale. Usa e Francia si limitano ad ammonire il comportamento del regime di Muassa Dadis Camarà

C'è solo una cosa peggiore di un'esecuzione di massa. Un'esecuzione di massa che passa sotto silenzio. Senza alcuna condanna da parte della comunità internazionale. Senza sanzioni. Senza embarghi. Senza quel genere di attenzione politica che dovrebbe essere garantita alla protezione di ogni essere umano in quanto depositario di diritti civili inalienabili. Uno di questi è consacrato solennemente dall'articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 10 dicembre 1948. "Ogni individuo - riporta l'articolo - ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere".

In Guinea da lunedì il popolo non solo non ha visto riconosciuto il diritto alla libertà d'opinione senza essere molestato ma è stato addirittura sterminato dalla polizia del capitano Moussa Dadis Camarà, salito al potere in seguito ad un golpe lo scorso 23 dicembre. Motivo? I guineiani non vogliono che il dittatore si presenti alle elezioni presidenziali del prossimo gennaio. Lo hanno detto chiaramente prima di scendere in piazza e, dopo il diktat del governo che aveva minacciato provvedimenti in caso di manifestazione, lo hanno ribadito riunendosi in 25mila di fronte allo stadio della capitale. Un grido di protesta unanime contro la legalizzazione elettorale di una dittatura al quale il governo ha risposto con l'esercito. Manganelli e lacrimogeni sulla folla che ha resistito pacificamente nella sua protesta. Fino al fuoco. "Sparate ad altezza d'uomo" questo sembra essere stata la direttiva dei colonnelli di Dadis agli uomini in pantaloni mimetici, berretti verdi e maglietta nera. L'ultimo bollettino, in perenne stato d'aggiornamento, parla di 157 vittime, migliaia di feriti e decine di arrestati. Tra questi i due principali leader dell'opposizione Cellou Dalein Diallo, capo dell'Unione delle forze democratiche della Guinea e candidato alle presidenziali, e Sidya Tourè, capo dell'Unione delle forze repubblicane.

Nella prima mattina di oggi è arrivata la testimonianza che attribuisce al massacro risvolti, se possibile, ancora più abominevoli. E' la dichiarazione di un medico del pronto soccorso del Centro ospedaliero di Donka, il più grande nosocomio di Conacry. "E' una macelleria, un massacro, ci sono decine di cadaveri". L'immagine è quella di un medico che lotta contro il tempo per salvare vite umane. Un uomo che, forse inconsapevolmente, offre la chiave di ciò che accade in Guinea in una scarna e frettolosa dichiarazione ai media. Alla comprensione dei fatti basterrebbe la sua prima parola: "macello". Si potrebbe pensare al Rwanda o alla Somalia. Il fatto è che in quei posti, seppure con alterne fortune, la comunità internazionale si era mobilitata.
Qui, oggi, a testimoniare e condannare un vero e proprio massacro contro un popolo che protesta pacificamente ci sono solo le foto e gli articoli in rete.
La comunità internazionale, ad esclusione di Usa e Francia, resta immobile a guardare e, forse, ignorare ciò che accade in un paese dove chi protesta va al "macello".
E se l'Eliseo ha condannato "con la più decisa fermezza la violenta repressione" messa in atto dall'esercito della Guinea, da Washington il governo Usa, che in Afghanistan schiera quasi 30 mila uomini, si è limitato a dirsi "profondamente preoccupato" per le violenze e esortando la giunta militare al potere a dare prove di moderazione.
Prove di moderazione che si sarebbero potute chiedere anche a Saddam Hussein a questo punto. Solo che la Guinea non ha le stesse risorse dell'Iraq e, quindi, lo stesso peso nella definizione degli equilibri internazionali. Per questo nessuno parla di fronte a 157 morti. Fino ad ora.

Nello stadio una trappola mortale - "Secondo fonti sul posto - prosegue la nota - le autorità avrebbero teso una trappola alla gente radunata in massa: l'esercito ha atteso che lo stadio fosse pieno per entrare e sparare sulla folla". "Poiché la manifestazione era vietata - scrive l'opposizione - i guineani si aspettavano piuttosto che le autorità chiudessero lo stadio per impedire a chiunque di entrare. Si tratta quindi senza alcun dubbio di un assassinio premeditato, visto che l'ordine pubblico non era minacciato: i contestatori manifestavano pacificamente". Migliaia di persone ieri si erano radunate nello stadio "28 settembre" di Conakry, capitale dello stato africano. L'intenzione era quella di contestare la ventilata candidatura alle presidenziali di gennaio del capo della giunta militare, il capitano Moussa Dadis Camara, leader dei golpisti al potere dal 23 dicembre 2008.

Gli stupri cominciati allo stadio - Le violenze sulle donne sono state confermate dal responsabile di un'organizzazione per i diritti umani a Dakar. Secondo Mamadi Kaba, presidente del ramo guineano del Raggruppamento africano per la difesa dei diritti dell'uomo (Raddho), le violenze sono state consumate nello stadio della capitale e poi ancora nelle caserme e nei commissariati. "Gli stupri sono cominciati allo stadio; i militari hanno violentato le donne... e noi abbiamo informazioni allarmanti di donne detenute in campi militari e commissariati che vengono violentate", ha spiegato Kaba. Decine di migliaia di persone ostili alla giunta al potere si erano radunate nel più grande stadio di Conakry; subito dopo le forze di sicurezza hanno cominciato a sparare sulla folla facendo decine di morti. Sempre secondo la ong, "i militari entrano nei quartieri, fanno saccheggi e violentano le donne... Abbiamo avuto queste informazioni da fonti concordanti, da fonti della polizia e vicine all'esercito, anche perché molti militari non sono d'accordo con quanto sta avvenendo"

Fonti: Antonio Marafioti per Peace Reporter; Tiscali.it

mercoledì 30 settembre 2009

Masai sfrattati e arrestati per far spazio ai safari di caccia.

In Tanzania, a Liliondo, nella regione di Arusha, sono stati ridotti in cenere otto villaggi masai lasciando 3.000 persone senza cibo, acqua e riparo.

Il 4 luglio, la polizia antisommossa della Tanzania, armata pesantemente, ha dato fuoco alle abitazioni e ai depositi alimentari dei Masai per sfrattarli dalla loro terra ancestrale. Migliaia di Masai, insieme alle loro greggi, si ritrovano oggi senza mezzi in balia di una grave siccità. Sono stati sfrattati violentemente dai loro villaggi per far spazio a una riserva di caccia della Otterlo Business Corporation (OBC).

“Oggi la nostra terra è stata presa per un investimento: per caccia turistica di lusso” ha denunciato un uomo Masai.

Survival ha anche ricevuto dei rapporti inquietanti su violenze inflitte alle donne masai durante gli sfratti. Alcune sarebbero state stuprate e altre picchiate duramente. Descrivendo la sua terribile esperienza, una donna ha raccontato: “Due uomini armati mi hanno inseguita e buttata a terra mentre sopraggiungevano altri sei uomini. Sono stata violentata da ognuno di loro”.
Si dice che la Otterlo Business Corporation sia legata alle famiglie reali degli Emirati Arabi Uniti e che detenga l’esclusiva dei safari e dei diritti di caccia a Liliondo, nella Tanzania settentrionale, dal 1992. L’area è terra tradizionale dei Masai, ma la compagnia utilizza l’area per battute di caccia grossa. I safari hanno gravemente compromesso l’accesso dei Masai ai pascoli del bestiame, provocando crescenti tensioni tra le comunità e la OBC.
Le recenti atrocità mostrano che oggi la situazione è diventata molto critica. Le donne Masai che recentemente hanno manifestato contro lo sfratto violento si sono sentite dire che non avevano diritto di protestare. Mentre i leader delle comunità locali hanno ricevuto minacce anonime.
Gli incendi dei villaggi ora sono cessati. Ma tutti i pastori masai sorpresi con le loro greggi all’interno della riserva di caccia della OBC sono stati arrestati. Cinque persone sono già state giudicate in tribunale senza poter beneficiare di una difesa legale o della libertà su cauzione, e sono state condannate a sei mesi. Altri 10 Masai devono presentarsi in giudizio il 24 agosto.
È da tempo che le potenti compagnie di safari interferiscono gravemente con la vita dei popoli tribali della Tanzania. Nel 2007, la piccola tribù di cacciatori raccoglitori Hadza è sfuggita per un soffio allo sfratto dalla terra ancestrale. A seguito delle pressioni degli Hadza stessi, delle organizzazioni indigene e di Survival, infatti, la UAE Safari Ltd rinunciò alla concessione di caccia nella Yaida Valley.

giovedì 10 settembre 2009

Il Nobel alle donne africane


Sono le donne ad alzare la voce per dire al mondo che l'Africa e i suoi abitanti hanno gli stessi diritti di tutte le terre del mondo. Sono le donne africane a tener fede agli impegni assunti nelle forme del microcredito e a dar vita coraggiosamente a cooperative di lavoro per creare opportunità di sviluppo. Sono donne a far sentire l'urlo di dolore delle guerre e della fame e da tempo le vedi come valorose giornaliste pronte a denunciare violenze e soprusi. Sono protagoniste silenziose di progetti sanitari soprattutto contro l'AIDS che in Africa miete vittime ogni giorno. Meritano davvero il Nobel per la pace! Non più solo una, come pure è avvenuto in passato, ma tutte e tutte insieme. Sarebbe un Nobel collettivo che riconosce la fatica e insieme dà forza. È nell'utero di queste donne che si nasconde il futuro, il riscatto e la liberazione di un continente che paga il prezzo più alto dell’egoismo del nord del mondo.


L'invito pertanto è a visitare la pagina del CIPSI e di Chiama l'Africa: http://www.noppaw.org/ e a sottoscrivere la richiesta. L’Africa si aiuta anche così!!!


9 settembre 2009 - Tonio Dell’Olio - Il Mosaico di Pace

mercoledì 2 settembre 2009

Ciao Teresa


Teresa Sarti
28 marzo 1946 - 1 settembre 2009

Dopo avere insieme condiviso per quindici anni il tempo dell'amicizia, del rispetto per la vita e per la sofferenza di tutti, dopo il lungo tempo di affetto, di speranze, di timore per la sua sorte personale, Emergency annuncia la morte della sua presidente Teresa Sarti Strada.
Con la stessa apertura e con la stessa semplicità che aveva voluto per la vita di Emergency, Teresa ha accettato anche in questi suoi ultimi giorni la vicinanza di tutti coloro che hanno voluto esserle accanto. La serenità consapevole con la quale è andata incontro alla conclusione del suo tempo ha espresso il coraggio e la determinazione che rappresentano la verità della nostra azione in un'attività che ha dato senso alla sua e alla nostra esistenza. La dolcezza del ricordo coincide per noi con il rinnovo del nostro impegno per la pace e per la solidarietà.

EMERGENCY